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«Oggi bisogna ‘spaccare’ già nelle prime battute»

Non ha una formula magica per sfornare hit di successo, ma ne ha prodotte più di chiunque altro in Svizzera. Abbiamo incontrato il produttore discografico Roman Camenzind nella sua azienda, la HitMill, e lui ci ha svelato quali sono le trappole in cui i musicisti svizzeri non devono cadere.

Foto: sagbar, sagbar.ch

Quale canzone ascolta sempre volentieri?

Ci sono tanti evergreen, ma se devo sceglierne uno dico «Brothers in Arms» dei Dire Straits. In generale, però, la ripetizione mi annoia. Guardo sempre avanti. Per questo ho abbandonato il palcoscenico e produco musica in proprio. In studio, posso esprimere al meglio la mia creatività e dare vita a qualcosa di nuovo ogni giorno.

Cosa le piace di «Brothers in Arms»?

Il suono della chitarra. Mark Knopfler è un virtuoso e riesce a comunicare con il pubblico attraverso lo strumento. Si sentono le singole corde, i movimenti delle dita. La canzone è molto lenta, ma ha dinamismo e profondità. È ricca di sfaccettature e di pathos. Con le canzoni in inglese, guardo più al suono che al testo; con quelle nella mia lingua, invece, sono le parole a colpirmi di più.

Cosa serve a una canzone per diventare un evergreen?

Prima di tutto, deve avere successo, il che accade solo se arriva al cuore e se è cantata dalla persona giusta. Canzone e artista dovrebbero essere in simbiosi. Ad esempio, quando Baschi ha lanciato «Bring en hei», la hit degli Europei 2008, tutta la Svizzera sapeva che era un tifoso sfegatato e che giocava lui stesso a calcio. Inoltre, la canzone deve essere in sintonia con il momento presente. A quel punto, se riesce a fare breccia, diventa una sorta di catalizzatore dei sentimenti di quell’epoca. Se la riascolto a distanza di tempo, suscita ricordi di quella fase specifica della mia vita, fa tornare a galla le emozioni di allora. Siamo tutti un po’ nostalgici, e la musica della nostra gioventù ha sempre un posto speciale nel nostro cuore, diverso da quello riservato alle canzoni che ascoltiamo da adulti.

Lei produce gli evergreen di domani?

Ci sono riuscito spesso. «Titelgschicht» dei Subzonic è uscita nel 1999, ma come co-fondatore della band e cantante ricevo più feedback oggi che in passato. I ragazzi di oggi la cantano. Quando un pezzo diventa un patrimonio culturale, c’è da esserne fieri. Ed è questo che siamo riusciti a fare con brani come «Amerika» di Adrian Stern, «Bring en Hei» di Baschi, «Rosalie» di Bligg e «Heimatgfühl» dei Megawatt. In totale abbiamo composto circa 2000 canzoni, dieci delle quali vengono ascoltate ancora oggi.

Può svelarci la formula del tormentone?

Non esiste una formula. Anche se ci si attiene a determinati schemi, non è detto che si riesca a creare una hit. In studio, però, di solito capisco se un brano avrà successo. Amo ascoltare la musica pop e cerco di produrre canzoni che mi piacciano. Avendo un gusto musicale simile a quello del grande pubblico, so cosa fa presa sulle masse. Se inizi un pezzo con uno stravagante assolo di chitarra, incontrerai il favore di chi sa apprezzare i virtuosismi di questo strumento, ma non del grande pubblico. Il confine tra hit e flop è più labile di quanto si pensi. Produrre musica pop è un vero banco di prova: richiede una focalizzazione sull’essenziale e un grande fiuto. Io ho passato i 45, non posso pensare di avere la stessa impronta musicale di un ventenne. Ma dato che sono circondato da giovani, posso attingere alla loro sensibilità. Quando produco una canzone per un target giovane, mi affido non tanto al mio gusto personale, quanto a quello di un membro del team appartenente a quella generazione.

«Oggi il modo in cui ci si pone è importante almeno quanto la voce. Sono la personalità e la storia dell’artista che interessano.»

Quindi una bella voce non basta per avere successo nel mondo della musica.

Assolutamente no. Ogni cantante lotta per conquistarsi l’attenzione del pubblico in un mercato inondato da 10 000 nuove canzoni ogni giorno. Nessun altro mercato è così saturo. Chi non si presenta con un’identità ben chiara non può aspettarsi di venir ascoltato. Oggi il modo in cui ci si pone è importante almeno quanto la voce. Sono la personalità e la storia dell’artista che interessano. E quando dietro ci sono momenti duri, il pathos aumenta. Ecco perché parliamo per giorni con i nuovi artisti prima di mettere mano agli strumenti. Voglio conoscere la persona e scoprire cosa la rende unica.

Il nome «HitMill» è una dichiarazione d’intenti. Quante hit ha già lanciato?

Oh, ho smesso di contarle. Solo l’anno scorso, quattro album si sono piazzati al primo posto in classifica. Artisti come gli Heimweh e i Megawatt o gli Schwiizergoofe hanno tutti ottenuto grande successo.

Avverte la smania del successo?

No, solo la spinta a produrre hit. Il nome «HitMill» significa questo. Come faccio a ridurre una canzone all’essenziale? È più facile riempirla di fronzoli. Se un brano ha successo, vuol dire che piace a tanta gente. Non è come intercettare i gusti musicali del proprio zio o di un certo giornalista.

In che misura TikTok & co. hanno cambiato il suo lavoro?

La capacità di attenzione del pubblico è calata. Quando ho iniziato a fare il produttore, 28 anni fa, strutturavo le canzoni conservando il momento clou per l’ultima parte del brano. Oggi bisogna «spaccare» già nelle prime battute. La canzone deve entusiasmare da subito, per cui alcuni iniziano con il ritornello. Inoltre, i brani sono diventati più brevi. Una volta c’erano strofa, ritornello e bridge, seguito nuovamente dal ritornello. Mi piaceva sorprendere con il bridge e creare nuove sfaccettature. Oggi il bridge viene spesso omesso, tutta la creatività si concentra nella strofa e nel ritornello. Anche la commercializzazione è cambiata: un tempo i musicisti dipendevano dalle radio, nel bene e nel male, oggi possono raggiungere i consumatori finali anche attraverso i social media. Gli Stubete Gäng, gli Heimweh e i Megawatt ce l’hanno fatta senza le grandi radio, le quali comunque aiutano anche oggi a raggiungere un pubblico ampio.

Foto: sagbar, sagbar.ch

Cosa pensa dell’intelligenza artificiale (IA) nel mondo della musica?

Con mia grande sorpresa, si muove ancora nell’ombra. È già molto presente nella realizzazione dei video e nell’editing delle immagini, ma per quanto riguarda la musica, è ancora in fasce. Sono convinto, comunque, che prima o poi rivoluzionerà anche l’industria discografica. Però, il nostro settore è abituato ai cambiamenti radicali ogni quattro anni. Già 25 anni fa ha subìto un duro colpo con l’avvento dell’MP3 e delle reti peer-to-peer, e successivamente ha dovuto reinventarsi in seguito alla diffusione dello streaming. Chi ha affrontato tutti questi cambiamenti non ha più paura delle nuove tecnologie. L’IA ci aiuterà a velocizzare i processi. Forse alcune applicazioni di IA saranno in grado di produrre certi tipi di musica relativamente bene, ma prima che riescano a comporre canzoni in dialetto del canton Uri o di Berna, probabilmente sarò già in pensione.

Fra i suoi clienti figurano praticamente tutti i protagonisti della musica pop svizzera. Con chi altro vorrebbe lavorare?

Trovo più stimolante lavorare con nuovi artisti piuttosto che con star ormai affermate. Forse alcuni musicisti non si sono mai posti le domande importanti, ma sono già radicati in un loro contesto, che li influenza e vuole avere voce in capitolo. I nuovi artisti ci danno più margine di creatività.

Quindi pensa che alcune star non sfruttino appieno il proprio potenziale?

In Svizzera, in particolare, molti musicisti seguono la strada più facile. Ad esempio, ascoltano il pop alternativo inglese e lo imitano, cantando in inglese, per di più. Ma perché scegliere, per esprimere la mia arte, una lingua che conosco poco e un sound che non c’entra nulla con le mie origini? Molti artisti non si preoccupano di trovare una colonna sonora in sintonia con la loro storia.

I Pegasus hanno successo con le canzoni in inglese.

Quando il gruppo è venuto da me, aveva già pubblicato album in inglese. Naturalmente, chi vuole farsi conoscere all’estero non ha molte prospettive se canta in dialetto bernese.

Qual è stato il suo più grande successo finora?

Lavorativamente? Ho iniziato da solo, ma con gli anni ho costruito il team che oggi è HitMill. I nostri 12 collaboratori mangiano pane e musica ogni giorno, hanno talento e sono motivati. Per quanto ne so, non esiste un’altra casa discografica di queste dimensioni in Germania o in Svizzera.

Produttore di hit

Mentre andava ancora a scuola, Roman Camenzind ha fondato con alcuni amici la band Subzonic, con cui ha ottenuto i primi successi. Nel frattempo, ha concluso una formazione come sviluppatore di applicazioni, poi ha deciso di dedicarsi completamente al business della musica. Nel 1997 ha fondato HitMill, che è cresciuta fino a diventare una vera e propria PMI.