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È ora di parlare di soldi.

«Cicli di vita brevi dei prodotti richiedono più innovazione»

La dote attualmente più richiesta sul mercato del lavoro? La flessibilità. Perché il mondo degli affari sta vivendo cambiamenti sempre più rapidi e radicali. Il consulente aziendale Alex Osterwalder spiega cosa serve per mantenere al passo aziende e lavoratori.

Si dice che viviamo in un’epoca effimera. È davvero così o è solo una nostra percezione?

Sono le tempistiche a contrarsi, non il tempo in sé. Assistiamo a un declinare sempre più rapido di modelli aziendali, prodotti e tecnologie. Ma per questi fattori, contrariamente a ciò che accade per lo yogurt in frigo, non abbiamo ben presente quale sia la data di scadenza. Le aziende non devono fare affidamento su un particolare prodotto o modello aziendale, devono costantemente reinventarsi.

Cosa significa questo in concreto per le aziende?

Se lancio qualcosa sul mercato oggi, devo già pensare a cosa intendo lanciare domani. E mentre faccio ancora soldi con un prodotto, devo già riflettere a quello che lo sostituirà. Siccome è sempre più difficile mantenersi in vantaggio quando si parla di prodotti, bisogna meditare sui modelli aziendali, che hanno una «data di scadenza» più lunga. Ormai è escluso che una ditta possa sopravvivere solo sulla base dei prodotti. Apple è sempre un passo avanti rispetto alla concorrenza, ma per i modelli aziendali, non per gli articoli che offre. Un modello aziendale forte è l’unico modo per rallentare un po’ lo scorrere del tempo.

Cosa determina il successo di un modello aziendale?

Un buon esempio è rappresentato dai modelli a piattaforma. Anche se i concorrenti, occasionalmente, riescono a mettere sul mercato tecnologie e telefoni migliori di quelli Apple, è difficile distruggere l’«ecosistema» che ruota attorno al modello aziendale. Chi sviluppa un’app, la propone nei contesti in cui può raggiungere il pubblico più vasto possibile, quindi iOS di Apple o Android. Non basta presentare un nuovo smartphone, toccherebbe scovare da un giorno all’altro milioni di sviluppatori di app. Apple e Google hanno una posizione così solida sul mercato perché i loro modelli aziendali sono forti. Un altro esempio è Hilti. Prima l’azienda produceva trapani professionali, oggi invece il modello aziendale si basa in gran parte sul noleggio di interi parchi attrezzi. Si tratta di una soluzione molto più stabile che non produrre e vendere qualcosa.

Può una start-up sviluppare un ecosistema in grado di competere con Apple e Google?

Assolutamente sì. Airbnb, fondata nel 2008, ha costruito un ecosistema. L’azienda ha iniziato con un modello a piattaforma e ha dato filo da torcere alle catene alberghiere. Airbnb, senza possedere nemmeno una struttura, offre la maggior parte delle camere d’albergo. Per ottenere questo risultato da start-up, l’agilità è indispensabile. Molti grandi gruppi considerati imbattibili, come IBM o General Electric, hanno perso gran parte della loro influenza, altri sono andati del tutto in rovina. Le dimensioni non sono garanzia di sopravvivenza. Più potente è un’azienda, più diventa arrogante – e vulnerabile. Le start-up trovano sempre lacune del mercato da colmare. E hanno buone opportunità di successo, al pari delle aziende affermate che agiscono come start-up.

Parliamo di Nespresso: la tecnologia delle capsule di caffè esiste dalla fine degli anni Settanta, ma è passato parecchio tempo prima che Nestlé la introducesse. Quanto è importante il timing di un’innovazione?

Non esiste il momento giusto per innovare, ce n’è sempre bisogno. Sì, a ideare in origine il sistema a capsule è stato l’ingegnere Eric Favre, primo CEO di Nespresso. Ma non ha individuato un modello aziendale efficace. Per questo, c’è stato bisogno di un esperto di marketing esterno. Il risultato ottenuto da Nespresso con un pizzico di fortuna, oggi lo si può conseguire in modo molto più rapido e sistematico, conoscendo i processi e gli indicatori chiave.

Innovare significa plasmare il futuro.

È importante capire che l’innovazione non è un’attività puntuale, come una campagna di promozione. È qualcosa di cui ci si dovrebbe occupare costantemente. Le migliori aziende operano in contemporanea su due piani: gestiscono gli affari correnti e inventano il futuro. Chi pensa che si possa produrre, poi tornare a inventare qualcosa, poi produrre di nuovo, è in errore. No, non funziona in sequenza, è un processo parallelo. Le migliori aziende riescono a farlo. Amazon è gestita in modo eccellente e allo stesso tempo si reinventa continuamente. Certo, è impegnativo, perché bisogna coltivare due culture sotto lo stesso tetto. Occorrono manager che amministrino in modo efficiente e imprenditori che portino avanti l’innovazione. E non bisogna mettere i due gruppi l’uno contro l’altro.

Aziende come Google e 3M concedono ai collaboratori un giorno alla settimana per fare innovazione. È una via praticabile?

Le persone devono essere impegnate al 100% nel processo di innovazione. Non ci si ritaglia un po’ di tempo per incastrare qualche incombenza di marketing o di engineering, è un’assurdità. Il manager riflette, investe e realizza. Chi innova, invece, prende un’idea, la testa e poi semmai la scarta, per ricominciare con un’altra. È un processo che può ripetersi all’infinito, un approccio completamente diverso. È di fatto impossibile funzionare per qualche giorno alla settimana in modalità «gestione» e poi cambiare atteggiamento premendo un interruttore. Nelle aziende, pertanto, c’è bisogno di un numero ben più grande di professionisti dell’innovazione. Penso che un’impresa debba destinare una certa quota dei collaboratori a questa attività, da svolgere a tempo pieno. E ciò non va confuso con le attività di ricerca e sviluppo (R&S), che si concentrano sui prodotti e sulle tecnologie. L’innovazione, invece, riguarda i modelli aziendali e nuove value proposition per i clienti. Alcuni dicono: «Non abbiamo tempo per innovare, dobbiamo gestire gli affari». Ok, fate pure, finché non andrete a picco.

Verosimilmente il tasso di successo delle innovazioni sarà piuttosto basso.

Pensiamo alle start-up: alcune falliscono, è normale. Lo stesso vale per i progetti all’interno di un’azienda. Chi vuole innovare deve accettare il fatto che non tutte le idee sono destinate a svilupparsi. Ecco perché è necessario un buon sistema, che permetta di lanciare – e anche sospendere – molti progetti. Se un’idea si rivela un fiasco, bisogna accantonarla senza esitare, per far confluire il capitale verso progetti più promettenti. È una logica completamente diversa da quella della produzione, dove si vogliono evitare gli «scarti». Ma se una grande azienda vuole crescere, deve investire in centinaia di progetti e scartarne quasi altrettanti. Maggiore è il fatturato a cui si punta in futuro, maggiore è il numero di progetti da lanciare.

Quindi già oggi devo pensare al domani?

Assolutamente sì. Facendo attenzione a non trascurare nemmeno il presente, però, perché anche gli affari correnti sono importanti. Servono due ottiche temporali: una estremamente reattiva e una stabile e programmabile. Per questo è essenziale sapere chi è più portato per la pianificazione a lungo termine e chi invece si destreggia meglio di fronte alle incognite. E non sto parlando delle persone creative, che sono quelle per noi meno necessarie. Qui ci vogliono imprenditori. Perché non si tratta di caos, ma di caos organizzato.

Potremmo anche dire che non cambia molto per i collaboratori addetti agli affari correnti?

Vero. Non tutti in azienda devono essere imprenditori, ma flessibili sì. Nel lungo termine, probabilmente assisteremo alla scomparsa e alla rinascita in altra forma di moltissimi settori. Si inizia sempre con poco, da un piccolo progetto, e poi si finisce per aver bisogno di 10 000, 20 000 o 100 000 persone. Logitech, ad esempio, vende ancora mouse, ma molti dei suoi collaboratori sono chiamati a familiarizzare con la realtà più dinamica dei nuovi settori d’attività. Una carriera lineare che duri oltre 20 anni non esiste praticamente più.

Cosa significa questo sul piano della formazione?

Io ho due figli e insieme a loro ho creato un fumetto di nome «biz4kids», per far sì che imparassero cosa vuol dire imprenditorialità. Non devono per forza diventare imprenditori, perché non è un lavoro facile, ma devono sapere cosa significa. I miei figli dicevano: «Ci piace la parte creativa, ma non la vendita». Siamo perfino andati insieme da un notaio e abbiamo fondato davvero un’impresa. Per natura, sono più imprenditore o manager? Si può scoprire solo provando.

Le nostre scuole e università dovrebbero cambiare passo?

La questione va molto più in profondità. Alain de Botton, filosofo e autore di bestseller, ha fondato la «School of Life» con l’obiettivo di insegnare proprio quello di cui nelle nostre scuole non si parla: come condurre una vita appagante. Io stesso, a suo tempo, ho odiato la scuola. Nonostante ciò, alla fine ho anche preso un dottorato. Ho sempre avuto la sensazione – e ne sono ancora convinto – che molto di quello che impariamo a scuola non ci sia utile. Oggi sono un datore di lavoro. Chi assumerei volentieri? Chi sa gestire le critiche. Gente che è capace di discutere e magari qualche volta anche di perdere. Purtroppo la scuola non mi insegna come criticare gli altri con rispetto, né come accettare le critiche rivolte a me. L’altro aspetto su cui la scuola è carente è quello emotivo. A 40 anni, ho dovuto rivolgermi a un coach per imparare come gestire al meglio i miei sentimenti. Avrei dovuto impararlo a scuola. Perché i bambini devono sgobbare sei ore sulla matematica e non ci sono mai lezioni sulla gestione delle emozioni? Sarebbe un tema più importante. Se investissimo più tempo in questo, probabilmente avremmo una società migliore.

Molte persone hanno poca autostima ed esplodono quando vengono criticate.

La cultura che vogliamo coltivare nella nostra azienda prevede la possibilità di esprimere critiche positive e rispettose nei confronti degli altri. Per questo verifichiamo sistematicamente che le persone siano disposte ad accettare eventuali osservazioni. Chi non è in grado di farlo non può lavorare per Strategyzer. Riteniamo fondamentale sapersi battere per un argomento valido come anche incassare le sconfitte.

Il suo ultimo libro si intitola «The Invincible Company», «l’azienda imbattibile». Non esattamente un proclama di modestia!

Va letto come una provocazione. Quando un’azienda si crede imbattibile dovrebbero scattare tutti i sistemi d’allarme. Perché l’arroganza è l’anticamera del fallimento. Per questo noi diciamo: imbattibile è chi pensa sempre di poter essere sconfitto e quindi continua a reinventarsi. Jeff Bezos ha già detto varie volte: «Amazon is gonna die», «Amazon un giorno finirà». Ma è proprio per questo che Amazon è così forte in fatto di innovazione.

Come giudica la capacità di rinnovamento delle banche?

È un argomento delicato. La cinese Ping An si è trasformata da conglomerato bancario e assicurativo a impresa tecnologica. Molte banche non sono così disponibili a reinventarsi. E noto lo stesso anche nell’industria farmaceutica. Entrambi i settori sono protetti dalla regolamentazione di legge.

Spesso i gruppi farmaceutici che vogliono innovare acquisiscono aziende più piccole.

Proprio così. Per le aziende farmaceutiche l’innovazione è un impegno non da poco. Immaginiamo la situazione seguente: un produttore ha un farmaco che garantisce la sopravvivenza dei pazienti per oltre 20 anni con un’iniezione mensile. Cosa accade nel momento in cui il gruppo inventa un preparato che necessita di una sola iniezione? Che l’azienda non potrà più guadagnarci per 20 anni. L’intensità della ricerca in questo settore obbliga le imprese a trovare nuovi modelli aziendali.

Come sarà il posto di lavoro ideale del futuro?

Una cosa è chiara: dobbiamo diventare più flessibili e decentralizzare. Purtroppo, il quadro giuridico è molto in ritardo. Se voglio assumere qualcuno in un paese in cui non dispongo di una filiale, già mi trovo in difficoltà. Allo stesso tempo, i nostri luoghi d’incontro saranno più spesso virtuali che non fisici. Già oggi a Londra e a New York quasi nessuno è più disposto a sobbarcarsi un’ora di viaggio per andare al lavoro e un’altra per tornare. È totalmente improduttivo. Questo significa che le aziende devono puntare sulla decentralizzazione e promuovere l’imprenditorialità. E tanto per cambiare mi viene in mente un altro esempio cinese: il produttore di elettrodomestici Haier ormai lavora solo con imprenditori. Di questo grande gruppo fanno parte 4000 piccole imprese e 3000 microimprese. Nei prossimi 10 o 20 anni prevedo difficoltà per chi non riuscirà ad adeguarsi.

Quindi il tempo delle grandi fusioni è finito?

Potranno ancora esserci fusioni, come in passato. Apple è un’azienda gigantesca, ma è rimasto un ecosistema di progetti. È un catalizzatore di talenti, che sviluppano qualcosa e poi proseguono per la loro strada. Allo stesso tempo penso che in molti contesti stiano scomparendo i confini tra impiegati, aziende, lavoratori indipendenti e partnership. Chi non sa gestire bene l’agilità ovviamente non si sente a proprio agio. E al riguardo devo tornare nuovamente sull’aspetto della formazione. A scuola, non impariamo cos’è una buona comunicazione. Può capitare che i miei figli debbano presentare un progetto, ma non viene loro spiegato come si lavora in squadra in modo efficace. Comunicazione, accettazione delle critiche e gestione delle emozioni: oggi nelle scuole non si insegna nulla di tutto questo, sebbene rivesta un’importanza primaria per la società e l’economia.

Sul lavoro, o quando si parla di innovazione, esistono i «mangiatempo»?

Certo che sì! Molti odiano le riunioni, ma in realtà sono una buona cosa, se fatte bene. Per quanto possa sembrare banale può essere d’aiuto, ad esempio, usare spesso i metodi visivi. Anziché limitarci a parlare, possiamo creare una rappresentazione concreta del nostro pensiero. Per questo abbiamo sviluppato il Business Model Canvas e il Value Proposition Canvas. Pertanto, le riunioni sono «mangiatempo» solo perché non abbiamo capito come organizzarle meglio. Le riunioni fatte bene «restituiscono» tempo, quelle malfatte lo sciupano e basta.

I nove pilastri alla base dell’idea imprenditoriale: il Business Model Canvas.

Quali modelli di orario alternativi reputa promettenti in ambito lavorativo?

Trovo piuttosto triste dover tracciare una linea di demarcazione tra tempo di vita e tempo di lavoro. Intravedo due tendenze: da un lato, sempre più persone fanno del loro hobby una professione, dall’altro, si riduce l’orario di lavoro per i dipendenti. Ritengo che la settimana di quattro giorni sia un’opzione realistica. Personalmente ho ancora qualche perplessità, ma sempre più studi dimostrano che è efficace. La produttività del lavoro potrebbe aumentare. In effetti, orari di lavoro prolungati abbattono il rendimento orario. Peraltro, lo dimostra anche l’esempio della Svizzera: qui la durata settimanale del lavoro è relativamente lunga, ma in termini di produttività il nostro paese si colloca solo a metà classifica.

Lei ha sviluppato molti tool. Qual è il suo «prediletto»?

Non ce n’è uno in particolare. I tool di business sono come i ferri operatori: nessun cardiochirurgo opera usando un coltellino svizzero per tutti gli usi. Valutiamo sempre quali campi d’applicazione richiedono nuovi strumenti e come si possono utilizzare i tool in modo complementare. Un artigiano porta sempre con sé la cassetta degli attrezzi, non un attrezzo solo. Allo stesso modo, nel mondo degli affari abbiamo bisogno di strumenti diversi.

Alex Osterwalder

Alex Osterwalder, svizzero di fama globale, è fondatore e CEO di Strategyzer, co-inventore del Business Model Canvas, n. 4 nel ranking Thinkers50 dei teorici del management a livello globale e professore all’IMD di Losanna, fucina di quadri dirigenti.